“Nosce te ipsum”, dal latino conosci te stesso, ripreso dal greco antico γνῶθι σαυτόν, come si poteva leggere sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Serviva da monito per il pellegrino prima di entrare nella casa di Dio. Era anche utilizzato da Socrate come strumento per far riflettere le menti del suo tempo.
È giunto il momento di trasformare questo monito imperativo in un interrogativo. Sei veramente sicuro di non essere vittima di un programma mentale che sta minando la tua quiete?
“Non uscire fuori da te stesso, rientra dentro te stesso: è nell’intimo dell’uomo che risiede la verità e se troverai la tua parte mutabile trascenderai anche te stesso”.
Sant’Agostino d’Ippona, con questo aforisma, descriveva la scienza moderna, la riassumeva in frasi tradotte in questi termini: quanto tempo passiamo a vivere la vita degli altri e a trascurare la nostra? Quanto spesso ragioniamo sui nostri vissuti, sui nostri comportamenti che racchiudono la verità del nostro essere, comportamenti che sono il risultato di programmi mentali che spesso, senza che noi ce ne accorgiamo ci provocano dolore?
Quanto siamo disposti a modificare tutto ciò che siamo realmente? Noi possiamo farlo, siamo in grado di trascendere anche la parte che non siamo.
D’altra parte oggi, con la neuroplasticità e l’epigenetica, riusciamo a comprendere perfettamente questo costrutto meraviglioso di Sant’Agostino.
Oggi sappiamo che il cervello del bambino alla nascita è completamente immaturo e i canali sensoriali sono pigri o addirittura inesistenti. Pensate al gusto, al tatto, all’olfatto, alla vista, all’udito e alla propriocezione, che è la capacità del bambino di sentirsi nello spazio. Tutto questo è estremamente rallentato nel cervello del bimbo. Tutto si deve ancora formare, tutto si deve costruire, tutte le reti e tutti i circuiti. Questo processo di formazione si ottiene attraverso un compromesso tra un programma innato e una serie di programmi acquisiti.
A me piace paragonare il cervello umano a un computer che possiede il disco rigido, nel quale ci sono scritte le istruzioni per l’uso della macchina. Noi abbiamo la possibilità di inserire, all’interno di quel disco rigido, dei software che ci consentiranno di utilizzare determinate funzioni a seconda dei contesti in cui ci troviamo. Quindi il cervello ha in sé un programma innato e sa come potersi strutturare nei vari strati: lo strato rettiliano, quello limbico e, in ultima istanza, il cervello neocorticale.
Questo processo di sviluppo neurobiologico dura 30 anni, la maturazione del cervello umano si conclude con il processo della mielinizzazione proprio a questa età. La mielinizzazione non è nient’altro che quella formazione di nastro isolante intorno all’assone. L’assone è il “braccio” del neurone che ci consente di poter far comunicare aree del cervello in modo rapido e repentino.
Ma durante questi 30 anni, che cosa avviene? Al di là di questo programma innato, che porta alla struttura del cervello uno e trino (come Dio), che cosa avviene?
Si creano quei circuiti di reti e di sinapsi che, pensate, sono estremamente esplosive nei primi sei anni di vita. A sei anni, il cervello del bambino in proporzione ha un volume più grande di quello dell’adulto: incredibile! C’è un processo che viene chiamato in inglese pruning sinaptico, potatura, che ci consente di poter tagliare tutte quelle reti neurali che non sono state utilizzate fino a quel momento. Questo perché l’attività della maturazione dello sviluppo neuronale del cervello è ridondante.
Tutto quello che il cervello farà, mentre quel programma innato va avanti, è acquisire delle informazioni che provengono dalla periferia, quindi dall’ambiente, con lo scopo di costruire quelle reti, quei circuiti, quei programmi mentali che poi ci consentiranno di poter avere un comportamento, una personalità e una relazione con il mondo esterno.
Potrebbe sembrare che, se quei programmi mentali saranno virtuosi, noi saremo soggetti virtuosi, se quei programmi saranno viziosi, noi saremo soggetti viziosi. Errato! Non è così che funziona la scienza della vita.
Se quei programmi saranno virtuosi perché i nostri genitori saranno stati in grado di poterceli trasferire, noi ce li terremo stretti. Ma se l’inconsapevolezza di papà e di mamma ci hanno portato ad assorbire dei programmi viziosi? In questo caso certamente la loro attivazione determinerà infelicità e tristezza e saremo chiamati a riconoscerli e a tagliarli. Quando? Quando avremo la possibilità di poterlo fare e questo accadrà, quando avremo sviluppato in pieno la nostra neocorticale e saremo in grado di poter fare un lavoro su noi stessi, di recupero di quelle informazioni dall’archivio storico della memoria.
Queste informazioni ci consentiranno di poter comprendere dove e in quale circostanza abbiamo appreso a essere e a comportarci proprio in quel modo. Occorre riconoscere che, da questo comportamento, abbiamo ricevuto dolore. Quindi lavorando su noi stessi.
Il conoscere noi stessi di Socrate diviene un’opportunità incredibile! Perché riconoscere ciò che non siamo e che ci fa male ci consente di potere evolvere verso quella quiete, quella pace, quella gioia, quell’armonia e quell’amore incondizionato che, ancor prima di rivolgerlo verso nostro fratello, dobbiamo provarlo verso noi stessi.
E d’altra parte Freud aveva scoperto un qualcosa di meravigliosamente sensazionale, aveva già dato un’idea di programma mentale.
Pensare quindi al bambino alla nascita, così poco maturato nel suo essere cerebrale. Eppure, un’azione ce l’ha già innata: la pulsione, l’istinto, quello della poppata, della suzione. Un istinto di vita incredibile: il bambino si attacca al seno della mamma e non si stacca più. Lui mangia e dorme e mentre dorme ha un programma innato, produce reti, produce sinapsi e moltiplica neuroni. Il sonno è fondamentale in età evolutiva. Questo tipo di pulsione, questo tipo di istinto lo fa sentire un imperatore. Lui è l’ombelico del mondo, non ha regole, non ha ordini.
A un certo punto l’ordine arriva, la regola arriva proprio da parte della mamma. La mamma deve dire al proprio bambino, che non può poppare per sempre e che ha bisogno di pause: la mamma impone una regola. A quel punto il bambino si rende conto che non è solo, ma che è in relazione con qualcos’altro. Mentre si accorge di questo, si accorge anche di chi è lui veramente, cioè distingue se stesso dagli altri.
Quella regola è assolutamente un’opportunità perché consente di poter costruire un Sé, un Io e non solo, consente di correggere la parte funzionale dell’Essere.
Ecco che abbiamo costruito insieme le tre istanze di Freud che sono l’Es, cioè il cervello pulsionale, il Super-io, cioè il cervello che controlla attraverso l’inibizione l’impulso che viene dal basso e l’Io, che è semplicemente l’identità del bambino che si rende conto di doversi porre in relazione con il mondo esterno: per la prima volta scopre che esistono altri individui e che lui è un individuo.
L’Io che deve anche far fronte agli stimoli di un ambiente che è sempre più sfidante, man mano che cresce. Ma la sfida deve essere commisurata alla possibilità di quel cervello di poterla sostenere.
Allora quanti bambini vengono programmati in modo robotico si trasformano da bambini in genitori dei propri genitori? È incredibile quest’inversione dei ruoli e quanto spesso questo procurerà dolore nelle relazioni umane a quel bambino quando sarà adulto.
D’altra parte, Freud aveva scoperto che da un Super-io ipertrofico, cioè da una mamma che anziché con amore, con carisma e con autorevolezza impone la regola con autorità e con assertività al proprio bimbo, si determina un’interiorizzazione di quel giudice, di quel censore, che si trasformerà in un adulto che si giudicherà tutta la vita e che da quel giudizio produrrà un senso di colpa, un’angoscia e una paura di non essere amato.
Mentre una mamma eccessivamente permissiva può determinare un bambino impulsivo, un bambino che avrà pulsioni sempre più importanti che si trasformeranno nel giovane adulto nella possibilità, non avendo il controllo dall’alto, di andare incontro ad un fenomeno di tossicodipendenza.
Ecco che quindi è importante la possibilità di trovare una conoscenza di noi stessi non soltanto per noi stessi, ma anche per la prole che mettiamo al mondo, e d’altra parte, la possibilità di determinare nel cervello dei bambini una struttura così resiliente da renderla capace di adattarsi agli stimoli dell’ambiente, in modo assolutamente virtuoso.
Lungo tutta la maturazione cerebrale, miliardi di circuiti si formeranno a seguito degli stimoli ambientali, ovviamente non solo della mamma, ma successivamente anche del papà e di tutte le figure genitoriali di riferimento e della società intera.
Siamo chiamati quindi ad essere consapevoli di quanto scultoreo sia il nostro insegnamento ai nostri figli e di quanto questo può essere un’opportunità per la società oppure una sindrome, simile ad una catena di Sant’Antonio, dove le nostre inconsapevolezze vengono trasferite alle generazioni future.
Vi lascio con un aforisma di Carl Gustav Jung che descriveva perfettamente la ragione numero uno, quella del conoscerci e del riconoscere ciò che non siamo, per poter direzionare la nostra vita verso il destino che desideriamo, adesso, in questo momento.
“Fino a quando non avrai reso conscio l’inconscio, quest’ultimo dirigerà la tua vita e tu lo chiamerai destino”.
Siamo chiamati quindi a riconoscere ciò che di disfunzionale è in noi per poterlo diluire, allentare nelle maglie neuronali e quindi consentirci, attraverso i processi di conoscenza, di comprensione e di consapevolezza, di poter evolvere verso quello che da sempre siamo chiamati ad essere: quiete.
A cura di
Dott. Gianluca Bruti
Medico, Neurologo, Presidente Eurekacademy