“Ti avverto, chiunque tu sia. Oh, tu che desideri sondare gli arcani della natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il tesoro degli dèi. Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo degli dèi”.
Quanto spesso ci soffermiamo a chiederci chi veramente siamo?
Una domanda estremamente complessa, perché noi pensiamo di essere come siamo, ci comportiamo secondo schemi precostituiti o programmati nel corso della nostra maturazione cerebrale e, senza rendercene conto, procuriamo dolore a noi stessi e agli altri.
E così continuiamo a vivere, senza porci il quesito: “Ma, in questo tipo di relazione, come sto, dove sto, con chi sto? Mi fa star bene?”.
Quanto spesso siamo in grado di poter stare nell’emozione, di comprendere che cosa in quel preciso momento ci sta consigliando la “bussola emozione”?
È stato citato prima l’oracolo di Delfi. Non si sa chi lo abbia scritto, alcuni lo fanno risalire ai sette Savi. Parliamo di 700 anni prima di Cristo. Tra questi saggi ci sono Talete di Mileto e Chilone di Sparta. Altri fanno riferire questo oracolo alla sacerdotessa di Apollo, proprio lei potrebbe averlo scritto, ma certamente, quello che possiamo dire, è che in questo oracolo c’è una relazione incredibile tra noi, l’Universo e Dio.
Conoscere noi stessi significa fare un viaggio introspettivo, significa infatti entrare in armonia con il creato e con l’Universo.
Quella quiete di cui spesso parliamo, si traduce nella possibilità di correggere e controllare tutti quei comportamenti che provengono da impulsi profondi, che sono secondari all’attività di strutture cerebrali che si sono formate per via di due fenomeni.
Il fenomeno della programmazione mentale, e l’esempio dei nostri genitori è uno di questi, e il fenomeno della genetica, cioè un codice nel quale è scritto come possiamo produrre proteine a seguito di uno stimolo ambientale.
Nasce così il temperamento, dal latino temperamentum e significa mescolare, mitigare. Il temperamento di una persona è proprio la summa di due elementi principali, ciò che noi acquisiamo nel corso della nostra maturazione cerebrale e ciò che abbiamo di innato dal punto di vista genetico.
Pensate che il primo a parlare di umore, di indole e di temperamento è stato Ippocrate.
Quattrocento anni prima di Cristo, lui aveva formulato la teoria umorale della personalità. Poi questo concetto è stato ripreso da Galeno, in epoca marco aureliana.
Galeno era il medico di Marco Aurelio e aveva parlato della possibilità di avere quattro diversi umori, a seconda della prevalenza di fluidi. Dall’organizzazione di questi fluidi, cioè dalla prevalenza di un fluido sull’altro, nasce un certo tipo di temperamento e un certo tipo di comportamento.
I fluidi che riconosceva Ippocrate erano quattro:
Galeno aveva descritto il tipo di temperamento che si aveva quando prevaleva un fluido piuttosto che un altro.
Parlava di temperamento melanconico quando prevaleva la bile nera. Il soggetto melanconico è un soggetto triste che ha la caratteristica di essere molto creativo, ma proprio questa creatività gli parte da una certa dose di tristezza.
Poi menzionava il fluido bile gialla, che caratterizza il temperamento collerico, tipico del soggetto che si arrabbia facilmente. È molto passionale, ma l’irritabilità lo contraddistingue.
Quindi, il temperamento sanguigno, in cui il fluido prevalente è il sangue e in questo caso abbiamo una persona vitale, una persona socialmente attiva e molto energica.
L’ultimo è il temperamento flemmatico, in cui il fluido prevalente è la linfa. Questo fluido a bassa pressione, che caratterizza un pochino il letto interstiziale, cioè lo spazio che c’è tra una cellula e un’altra, ha dei liquidi che vengono drenati attraverso il circolo linfatico. Il flemmatico ha proprio la classica flemma, è caratterizzato cioè, da un temperamento molto tranquillo, leggiadro, lo vedete sempre sereno, però è anche molto pigro e povero d’iniziativa.
Quello che diceva Galeno, riprendendo la teoria umorale di Ippocrate, è che il temperamento era il risultato di un’organizzazione più o meno prevalente di un fluido sull’altro e l’insieme di questi quattro fluidi costituiva poi, alla fine, un certo tipo di modalità di essere, quindi di comportarci.
Il temperamento è dato da due elementi principali:
Il compromesso tra queste due elementi dà il temperamento.
La possibilità che oggi abbiamo di poter tradurre in neurochimica e in neurobiologia moderna l’insegnamento di Ippocrate prima, e di Galeno dopo, ce la dà proprio la neuroscienza moderna.
Pensate che la loro teoria è rimasta integra fino al XIX secolo, fino al 1800 noi andavamo avanti con le teorie umorali di questi due grandi personaggi.
Oggi con le neuroscienze cognitive abbiamo la possibilità di comprendere che in realtà questi fluidi esistono, altro se esistono, e sono proprio ribattezzabili con il termine di neurotrasmettitori, proteine che hanno una caratteristica di attacco su un recettore e che quando si attaccano su questo recettore, che è un’altra proteina che sta nella cellula, dicono alla cellula come si deve comportare o come non si deve comportare.
Si chiamano neurotrasmettitori perché si trovano nel sistema nervoso centrale.
Dove si trovano localizzati questi neuroni che producono questi neurotrasmettitori?
Questi neurotrasmettitori vengono prodotti da neuroni che si trovano nel cervello rettiliano. Quel famoso cervello di cui abbiamo spesso parlato, cioè la prima parte del primo strato. Lì ci sono neuroni che, guarda caso, costituiscono proprio la base strutturale, la fabbrica di queste proteine, di questi neurotrasmettitori che poi dopo vengono inviati come segnali, come messaggeri, altrove, nel cervello limbico e nel cervello neocorticale.
Man mano che noi evolviamo e cresciamo, in questa centrale, in questa fabbrica che si trova nel tronco encefalico, troviamo questi neuroni.
Il tronco dell’encefalo si chiama così perché ha i suoi due emisferi e poi c’è una parte che lo sostiene che si chiama tronco, una base operativa centrale che si forma proprio nelle prime fasi di sviluppo, anche intrauterino. Che cosa sintetizzano questi neuroni? Quali neurotrasmettitori? Che cosa intendevano Ippocrate e Galeno per fluido?
Intendevano con ogni probabilità la dopamina, il neurotrasmettitore della ricerca della novità, la noradrenalina, neurotrasmettitore della ricerca della ricompensa e la serotonina, neurotrasmettitore della quiete.
Questi tre neurotrasmettitori insieme lavorano e costituiscono la personalità del soggetto.
Se prevale la serotonina su dopamina e noradrenalina, voi avrete una persona molto attenta e oculata, le piace stare nella sua area di comfort, non ricerca tantissimi stimoli esterni perché dice, “meglio quello che conosco che quello che non conosco”, e i soggetti che disfunzionano con questo asse neuro-trasmettitoriale, vanno in ansia, in depressione, tanto è vero che ci sono dei farmaci che noi utilizziamo, che sono i cosiddetti inibitori della ricaptazione di serotonina, che bloccano il recupero di questo neurotrasmettitore dalla parte esterna, e quindi aumentano il tono di questa sostanza, per poter dare ansiolitici, per stare in tranquillità con l’ansia e stare un po’ più su con lo stato d’animo.
Quando si ha una disfunzione del sistema dopaminergico, quindi parliamo della dopamina che è il neurotrasmettitore della ricerca della novità, della ricerca dell’informazione che proviene dall’ambiente, avremo soggetti come quelli che si buttano dal paracadute, che si arrampicano sulle montagne, che vanno a 350 chilometri orari con la moto a Vallelunga, che hanno bisogno di stimoli esterni, all’opposto dei serotoninergici.
Quando vediamo una disfunzione su questo livello, i soggetti sono talmente famelici di stimoli che rischiano veramente la vita. Sono anche i maniacali, quelli che spendono di più di quello che guadagnano o che fanno vite più o meno squilibrate, pensate ad esempio ai tossicodipendenti.
Abbiamo quasi le due istanze intrapsichiche di Freud, il Super-Io, cioè le norme etiche, le norme morali, il dovere e via dicendo, che ci blocca all’interno di un recinto, e l’Es, la pulsione istintiva, quella che va alla ricerca del piacere della ricompensa.
Abbiamo poi il terzo neurotrasmettitore che è la noradrenalina, che sta alla base dei processi di ricompensa sociale, la cui disfunzione crea i classici soggetti che hanno bisogno di essere riconosciuti, che hanno bisogno di essere valorizzati, che hanno bisogno di essere considerati per quello che loro riescono a fare. Sono degli animali sociali, sono quelli che veramente si prestano, perché, inconsapevolmente, da quel prestarsi ricevono un certo grado di soddisfazione dalla considerazione altrui.
Questi tre neurotrasmettitori, se lasciati lavorare male ci creano disfunzione:
Conoscere noi stessi significa riconoscere il momento in cui questi tre circuiti, che sono sottocorticali, rettiliani e antichi, si attivano in modo preponderante.
Quando invece il sistema serotoninergico, il sistema noradrenalinergico e il sistema dopaminergico lavorano in armonia, il soggetto è in grado di poter essere realmente presente negli istanti in cui respira.
Il rumore di fondo dell’ambiente esterno viene attenuato dal tono dopaminergico. Togliendo il rumore, la dopamina consente alla noradrenalina di darci vigilanza, presenza, che è un altro elemento importantissimo.
Quando non c’è armonia tra questi tre sistemi, come ci insegnano i nostri antichi, nasce la disfunzione, soprattutto quando noi non siamo in grado di comprendere che in certi momenti ci stiamo lasciando troppo prendere da un certo tipo di attività piuttosto che un altro.
Ecco l’impulso, per esempio, del sistema dopaminergico, oppure la paura e l’ansia del sistema serotoninergico.
E allora l’emozione, qual è emozione che sentiamo quando ci domandiamo “come sto? dove sto? con chi sto? che tipo di sensazione provo?”. È proprio a seguito di quello che noi proviamo che poi noi ci comportiamo, e questi neurotrasmettitori sono alla base del tipo di emozione prevalente.
Quindi l’emozione rappresenta una bussola che ci consente di poter direzionare la nostra vita verso un fuoco piuttosto di un altro.
Conoscere noi stessi significa, quindi, studiare tutta la nostra esperienza, essere attivi mentre esperiamo, essere pronti a comprendere che quell’emozione ci sta indicando una direzione, e certamente se l’emozione paura è un’emozione che pervade il nostro essere in modo incosciente, il rischio che noi correremo è che ci chiuderemo sempre di più e quell’asse della serotonina si disfunzionerà. Questo vale anche per l’asse dopaminergico e per l’asse noradrenalinergico.