Soffrire di dolore o dolore per crescere?

il tempo esiste?
È veramente reale ciò che ti appare?
6 Novembre, 2020
iL TEMPO ESISTE'
Il tempo esiste?
9 Novembre, 2020

 

Come è possibile pensare che un dolore possa essere un qualcosa che non fa male?

In queste righe cercherò, in maniera scientifica, di andare un pochino più in profondità su questo tipo di assunzione, che sotto un altro aspetto, ha il sapore della provocazione.

Come al solito partiamo da un aforisma ,di Arthur Schopenhauer. Dall’alto del suo pessimismo affermava un concetto molto interessante: “Qualsiasi accadimento, piccolo o grande che sia , è necessario.”

Quindi con queste parole sosteneva l’importanza degli avvenimenti che sono già accaduti. L’importante non è l’evento avvenuto, ma il significato che racchiude. Questa caratteristica di avvenimento necessario ha il correlato, dal punto di vista cognitivo, emozionale e affettivo, dell’accettazione non giudicante. Quando una persona accetta e non giudica si mette nella condizione di comprendere gli eventi che vive. Anche le perdite, come la scomparsa dei nostri cari. Per fare questo il cervello deve funzionare a certe frequenze. Stiamo parlando di una struttura estremamente complessa fatta a strati, un po’ come la basilica di San Clemente a Roma, in Laterano, la cui struttura rimanda a questa stessa caratteristica; tre strati, proprio come il cervello umano.

Nel corso dell’evoluzione della filogenesi, quindi, si sono costruiti degli strati neuronali sempre più complessi.

Abbiamo lo strato più antico, il cervello cosiddetto rettiliano; il cervello, in cui abbiamo il centro del respiro, del battito cardiaco, della fame, della sete, della pulsione e dell’istinto sessuale. Madre natura ha strutturato questa parte del cervello per salvaguardarsi la parte più basica, quella della sopravvivenza.

A metà strada tra il cervello rettiliano e la neocorticale, c’è il cervello limbico, quello delle emozioni, quello del bambino piccolo che si emoziona ed è famelico di sentimenti che sanno di amore.

Nell’adulto, in termini ontogenetici, di sviluppo, cioè del cervello, dovrebbe dominare la neocorticale, che è la parte che ci consente di poter essere consapevoli di che cosa è l’esperienza vissuta, di che cosa è il ricordo di un accadimento, magari anche di un evento traumatizzante.

E l’utilizzo di quella memoria per poter essere presenti nell’istante, attraverso un processo cognitivo emozionale che ci consente ora di stare nel momento, di stare nel qui e ora di spiazzare gli altri tempi illusori, quelli che Einstein definiva tempi della mente, il passato e il futuro.

Il cervello che vive nel qui e ora è un cervello molto alto, che deve gestirlo il pensiero e non farsi dominare.

Quando, infatti, restiamo intrappolati in un pensiero, quando quel pensiero ci trascina fuori dal presente, si attiva a nostro discapito, un cervello più basso, più antico, in cui, purtroppo, il pensiero diventa dominante e ci trasforma da osservatori in osservati.

Man mano che cresciamo ed evolviamo impariamo a stare nel dolore, sappiamo starci senza arricchirlo di sofferenza.

Quella perdita rimane dolore, quel vuoto rimane vuoto. Con la dovuta cautela, possiamo avvicinarci alla comprensione dell’esperienza, anche quella più dolorosa e accoglierla come occasione per evolvere.

In alcune famiglie, la perdita di un figlio è stata trasformata, dando vita a nuove esperienze, a forme di aiuto per altre famiglie in difficoltà. E questo rappresenta una crescita.

Possiamo comprendere ed andare oltre il computo delle vittime, possiamo trasformare noi stessi in funzione della capacità di leggere ciò che è accaduto. Siamo comunque consapevoli che l’umanità non è ancora pronta, contaminata da una globalizzazione di stampo economico e vive ancora perciò, privata dell’essenziale, mancando  di compassione, di capacità, di amore e di affettività. Il tema non è non avere dolore da una perdita. Il tema è non mettere nel dolore la sofferenza.

Che cos’è la sofferenza se non l’eccesso di pensiero rimuginante e ruminante attivato dal cervello limbico?

Da qui la mia provocazione.

Non invito a non provare dolore per una perdita. Invito invece a gestirlo, rielaborandolo con un cervello più evoluto che ci permetterà di essere presenti nell’istante, abbattendo ciò che è illusorio. Molti penseranno che è difficile e i miei compagni di viaggio me lo ricordano ogni giorno. Anche io sostengo che è difficile. Ma questa parola non deve fare paura, deve entusiasmare.

La vita va vissuta e l’esperienza non è una cosa semplice. Se fosse semplice avrebbe già annoiato l’umanità.
Concludo con un aforisma del mio amico Einstein, “Tutti sanno che una cosa è impossibile finché arriva qualcun altro che non lo sa e  la fa”. Spero che proprio tu sia quell’uno.

Ti invito allora a ripercorrere la tua storia, i tuoi accadimenti con una attività cerebrale più evoluta, quella che siamo chiamati a far funzionare come individui per far evolvere la specie di cui facciamo parte.

A cura di
Dott. Gianluca Bruti
Medico, Neurologo
Presidente EurekAcademy

Iscriviti